Buon sabato sera a tutti.
Ecco qui un racconto inedito scritto più di trent'anni fai, mai pubblicato.
Una notte di pioggia, con tre amici, siamo andati in montagna, a camminare di notte attorno ad un lago che si era formato per le forti piogge dei giorni precedenti. Sentivo la presenza di un essere senziente, lo immaginavo ad osservarci curioso tra le fronde di un albero, nei pressi del lago...
La foto invece è stata scattata in Pakistan tre mesi fa, nonostante il paesaggio sia diverso da quello che ha ispirato il racconto, il punto in comune è il sentimento che la notte sia abitata da una qualche presenza, sensazione che in Karakorum ho avuto spesso.
![](https://images.ecency.com/DQmUpyUfsrLRyqfo2L4MBEiV9eAQMKhxw96jMwa3DUvg8Ck/_mrf58379.jpg)
I tre navigavano rincorrendo un timido sentiero appena percettibile nella chiara notte. Erano venuti ad ascoltarsi, forse chiamati da un misterioso silenzio o forse perché scontenti della città. Il piccolo gruppo si disperdeva, si riuniva, si scomponeva nuovamente visitando le sponde di un lago evanescente, di una fantastica lastra increspata. La luna impazzita si velava di un denso strato di nubi per ritornare ad inondare di ombre sassi e ciuffi d’erba carichi di rugiada. Si fermarono attoniti, stupiti da un’illusione che li aveva afferrati. Si sedettero vicino ad un grande albero dalle fronde immerse nelle fredde acque e dal tronco ben radicato. Nell’aria azzurra oniriche sfumature prendevano corpo nella mente e nel paesaggio, visioni ed emozioni frammentavano in mille schegge lunari la realtà sulla quale da sempre avevano fatto affidamento. Là, nell’albero, un incredibile figura che spiava nei loro pensieri, colta da un improvviso tremito, sussultò facendo frusciare le foglie del faggio. Un Koaleonte, appartenente ad un’antichissima civiltà giunta ad un completo sviluppo evolutivo, l’arresto della forma. Parole che vibrarono nell’aria colpirono come un martello le piccole ed aguzze orecchie del Koaleonte, desuete al suono. Nel suo paese non si parlava; da lui non esisteva né il linguaggio né le emozioni. Da lui non ci si commuoveva e non si impazziva; le menti dei Koaleonti, compresi quelli artificiali, erano state educate al solo discernimento razionale. C’era la logica, che univa in diversi modi i concetti che loro si comunicavano telepaticamente. Sapevano e prevedevano ogni cosa sparsa negli abissi spaziali e temporali. Raggiunsero così l’immortalità, e che puri pensieri e perfetti, vagando di mente in mente, di circuito in circuito, custodivano la loro sapienza. Erano Dio, per loro.
Ma il Koaleonte non aveva mai avuto il senso del vago che lesse nelle menti dei ragazzi; neppure l’angoscia dell’imprevisto e i timori nel procedere nella semioscurità verso il lago, magari scambiando la sua superficie azzurrina per una pianura protetta dagli alberi. Né poesia né bellezza avevano abitato nel suo cuore, né mai la parola ad i suoi molteplici e sfuggevoli significati avevano penetrato la sua anima indenne. Tutto gli era indifferente.
Un uomo che muore cercando la sua essenza? Che rincorre emozioni a cui non riesce a dare forma perché troppo lontane da lui? Il Koaleonte divenne triste. Lui conosceva tutto della sua esistenza, poteva giustificare ogni suo comportamento. Ma da loro imparò la bellezza, sogno estatico, la poesia, parola decantata, la pittura nelle multiformi sembianza del creato, la letteratura, fantasia dei visitatori del lago.
E alla parola morte lo sguardo si incupì, il corpo si vestì di cielo e le lunghe dita che lo sostenevano si inabissarono nella terra ora calda. E l’arpa del bosco cominciò a richiamare fresche nebbie in alto, e l’ascolto si faceva più intenso. Chiunque avrebbe potuto vedere lo sbocciare dei fiori tutt’intorno, campanule incurvate per raccogliere e custodire la parola ed i suoi misteri, e carrozze dorate posarsi sui petali e fantasiose immagini balenare sul fondo del lago.
Il Koaleonte scelse, scelse di farsi linguaggio, scelse di vivere nella bellezza che muore e rinasce, sempre cangiante. Socchiuse gli occhi per un istante e percepì la prima emozione, li apri e intuì di essere, non solo di esistere. E il pianto commosso inondò i prati. Imparò il silenzio interiore che palpita nell’Arte ed il primo raggio del suo mattino si rifrasse negli enormi occhi carichi di vita.
Da allora lo spirito del Koaleonte divenne melodia suonata sinfonicamente dai profondi alberi, divenne indeterminazione, divenne il lieve e costante battere di un filo d’erba sbattuto dal vento. Divenne forma, concetto incarnato, idea assunta.
Da allora, nelle sere estive, nei precoci crepuscoli invernali, quando il vento suona l’arpa dei boschi o quando la luna raggiunge di sbieco anfratti ascosi e l’illusione si posa leggera nel pensiero di immaginari osservatori e reali, potrai sentire la pace accompagnata da una lieve inquietudine; come due occhi sgranati che, di notte in notte, di mattino in mattino, respireranno col tuo pensiero e nel mondo della tua bellezza. E quando ti fermerai per un’eternità nei pressi dell’albero questi occhi assumeranno via via più sapienza e più dolcezza; e ti sentirai condiviso, ascoltato da piccole orecchi curiose. Si narra che un giorno tre sfere luminose di rara luce si inoltrarono umili radendo l’erba fresca del prato, lo stagno, e si fermarono tutt’intorno al giovane Koaleonte. Forse erano venuti a cercarlo? O forse a imitarlo e a vivere come lui.
Si sono scritti interi libri su questo mistero, anche storielle semplici che lui ha voluto ispirare. Ma di giorno, forse di domenica, e di notte, con potenti torce, intere folle di gente cercano di svelarlo: ma tutte potrebbero giurare di non aver visto nulla di quello che erano venute a cercare. Perché fermarsi non è interrompere, fermarsi è rinascere.