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La Silloge (Prologo, part 2) by arbace

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La Silloge (Prologo, part 2)
Continua il viaggio nel sogno della scrittura...!![Copertina.jpg](https://files.peakd.com/file/peakd-hive/arbace/Gxy1COyy-Copertina.jpg)
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Per questo motivo alzava il volume, e contemporaneamente, al crescere della musica, cresceva, anche, il desiderio che soltanto la passione di mille notti, mille ore, mille centimetri di pelle liscia e bianca, avrebbero potuto colmare!
‘Si tali episodici momenti senza soluzione di continuità costituivano, ormai, la sua vita. Ricordi indelebili e sofferti lo accompagnavano costantemente, inesorabilmente, sconvenientemente, d’altronde soltanto illusioni infrante, che lo precedevano in ogni via.
Come un giorno ancor antecedente al ieri, quando pensava passeggiando sulla sabbia bianca della “Riviera” dell’isola alla mercé di una piacevole brezza che portava il gradevole odore dei pini, degli eucalipti, ed i profumi delle siepi di mirto, corbezzolo e pitosforo, che non gli sembrava vero essersi imbattuto, sgraziatamente, nella conchiglia, non comune a quel mare basso e sabbioso, dalle striature verosimilmente simili alle note di un pentagramma ed ideogrammaticanti una scritta, quasi cesellata dalla natura con arte e finezza imbarazzanti, come in bella grafia su di un giallo ambra dorato e tanto affascinante da sembrare fatta da mani umane, che pareva indicare, ma realmente indicava, un nome Κωνσταντινούπολις : Costantinopoli:  Istanbul! 
Avrebbe, già, dovuto accorgersi della coincidenza che il fato gli aveva porto ma, spesso, si è distratti dal momento presente per legarlo a quello precedente, così ricordava di aver, invece, raccolto quella conchiglia e aveva continuato a passeggiare fra i suoi ricordi e desideri.
Come un personaggio di Pratt, aveva continuato a camminare, e risalito dalla spiaggia, per il lungomare che, nel volger di poche ore, s’era andato svuotando, mentre il vento freddo lo spazzava, aveva serrato il Caban, alzandone il bavero e rendendo ancor più solitaria quella passeggiata fra i ricordi di una vita, e, come in un romanzo d’appendice, si era trovato incredulo, quando aveva letto quella pubblicità: ”Se a un uomo venisse concessa la possibilità di un unico sguardo sul mondo, è Istanbul che dovrebbe guardare”: distratto nei pensieri che lo rincorrevano, aveva pensato che, certamente, il creativo di quella pubblicità doveva aver intuito che quella frase di Alphonse De Lamartine fosse un buon messaggio per attirare l’attenzione e la curiosità dei romantici di tutto il mondo! 
Ma, perché ricordava quell'aforisma? 
Chi era, poi di grazia, Alphonse De Lamartine?
	Piuttosto, perché non riparare in un luogo più caldo? 
Aveva così riparato nel primo uscio che gli era parato innanzi, l’entrata di un’agenzia di viaggi. L’uomo che lo accolse, era un individuo molto alto, con i capelli incanutiti piuttosto dai pensieri che dall'età. I suoi occhi scuri e penetranti, nascosti sotto folte sopracciglia grigie, indagavano indugiando sulla sua presenza. La magrezza del viso, solcato da profonde rughe, e le forti linee della sua fisionomia, poi, svelavano un uomo più atto ad esercitare le sue facoltà morali che le forze fisiche, dimostrava settanta, settantacinque anni, quantunque una certa vigoria nei movimenti tradisse un’età sicuramente minore di quella che denunciava l’aspetto esteriore, come il colore della sua pelle giustificava quello strambo nome: Airaf Etaba.	
Così si era affabilmente presentato il suo ospite, avvicinandosi con finta curiosità alla sua attenzione per un dépliant pubblicitario e consigliandogli che il periodo dell'anno migliore per visitare Istanbul fosse da aprile a giugno e da settembre a ottobre, mesi che coincidono rispettivamente con la primavera e l'autunno, stagioni in cui le temperature medie sono miti, tra i 16° e i 25°C, e l'umidità non è opprimente.
Lungi da qualsiasi suo piano visitare la città, aveva comunque apprezzato il consiglio, dopo l’ischemia subita l’anno prima, infatti, non piaceva più il caldo opprimente, gli sembrava come se le parole rallentassero la loro corsa appresso ai pensieri e sentiva la sua voce strascicarsi in una lenta e difficoltosa lotta contro il flusso sanguigno, ormai, per sempre, compromesso.
Aveva accolto con molto piacere le parole dell’egiziano, poiché lo aveva informato di provenire dal Cairo e lì, invece, il clima desertico era caldo, quasi senza pioggia, infatti, da maggio a settembre può essere torrido e umido. L'inverno, soltanto, (dicembre-febbraio) è mite. 
	Viveva ormai come in un sogno, camminando per raggiungere il bancone della Mezzanine, senza distogliersi dai ricordi di quei fantastici, solitari pomeriggi trascorsi a l’Ile du Levant, isola tra Marsiglia e Nizza, divisa in tre zone, di cui la più estesa è quella destinata a base militare ed occupa gran parte della superficie dell'isola, rendendo inaccessibile nella sua interezza la costa sud orientale; un’altra è la zona che occupa la collina a ridosso del porticciolo, un grazioso paradiso, il Domaine di Heliopolis, con le sue villette sparse ed il piccolo villaggio, e l’ultima, infine, è la riserva naturale del Domaine des Arbousiers, con i suoi sentieri in mezzo al verde o bordeggianti le scogliere che delimitano la costa dell'isola.
	Ricordava che, appena sbarcato nel piccolo porticciolo, allontanatosi il rumoroso, fastidioso, vecchio motore del battello, si era immediatamente immerso in una dimensione inconsueta: la pressoché totale assenza di mezzi di trasporto a motore, eccezione che aveva reso particolare la laconica atmosfera dell'isola, quando l’ultima luce del tramonto chiosava gli unici suoni udibili: quelli del mare e del vento, ma anche lo straziante dolce vociare dei gabbiani: inducendogli subito, per sfuggire al senso di vuota pienezza, di rifugiarsi nei piaceri del gusto.
Il ristorante della Brise Marine, era ancora chiuso a quell'ora ed aveva ripiegato, allora, verso il forno, le Pomme d'Adame, sulla piazza principale del villaggio, che emanava un caldo richiamo dall'odore di ottimo pane e poi alla bottega dell'isola, che, nonostante soffrisse prezzi decisamente più alti che sulla terra ferma, favoriva un raro, pregiato, gustoso Jamon Serrano, ma…
…l’aveva vista arrivare con passo veloce ed aveva subito abbandonato la svogliata lettura, e quanto mai distratta dai pensieri, di quel pessimo quotidiano, ‘sì parziale da esser sconvenientemente fazioso finanche nelle previsioni del tempo. L’aveva stirato allora con destra forte sul bancone del bar e, ingoiato l’ultimo goccio del Campari, s’era avvicinato all'uscita del bistrot. 
Le disgrazie, le tribolazioni ed i pensieri, più che la maturità, gli avevano imposte rughe d’espressione e capelli brizzolati, gli avevano velato gli occhi scuri della tristezza pesante che “accomuna chi, ogni maledetta mattina, ripassa ciò che è stato e si augura che non accada null'altro”, conscio che già il fardello della propria vita fosse già abbastanza gravoso per trasportarlo fino all'agognato riposo serale.
	A circa venti metri da dove si trovava c’era il ristorante dove si erano dati appuntamento per una veloce cena e lì si diresse, frettolosamente, quasi goffamente, per accogliere il proprio affascinante avvocato.
	Spinse con accuratezza la porta di vetro dalla maniglia color oro a forma di “Z” dell’Alcazar e, nel cederle il passaggio, indugiando un lungo secondo, incrociò i suoi occhi verdi, profondi, limpidi, scorgendone dolcezza e felicità accompagnate a soddisfazione, così, rasserenato, trasse un sospiro di sollievo e apri ancor di più l’ingresso per far passare la bellissima donna.	
Nel varcare, poi, la soglia della Mezzanine si trovò, intento ma distratto, a pensare che Erica, fin dal liceo, si era sempre fidata di lui e quando le aveva parlato dell’inaspettata occasione che gli era capitata, lei s’era subito prodigata per accelerare i tempi di un incontro, sin troppo sensibile alla fretta di quel ragazzo, tornato dal passato e ritrovato uomo che, persa l’ingenua ignavia del futuro, aveva acquisito il fascino del vissuto. 
Il breve tragitto fino al bancone non gli impedì, però, di pensare al giorno prima, quando proprio non sembrava ancora vero che la sua vita fosse cambiata per una di quelle inattese fortune che “vengono inaspettatamente concesse a coloro i quali il destino è stanco di perseguitare”… 
…era ancora lì, per fortuna, o purtroppo, al bancone della Mezzanine, ed in compagnia della femmina più bella del locale, Erica, alta come non dovrebbe esser una donna, ma perfetta ed elegante, sfilato e riposto il trench nero con il cappuccio, che incorniciava i boccoli biondi, quasi a farla sembrare una cortigiana di un tempo, che furtivamente abbandona un luogo sconveniente, scoperte le spalle abbronzate, che in un’altra donna sarebbero apparse larghe, ma in lei erano adeguate a reggere il peso del seno perfetto ed abbondante, aveva lasciato all'immaginazione il resto, fasciato dal tubino in seta nero che scendeva sulla sua vita, larga in una donna più piccola, ma in lei era deliziosamente sottile ed evidenziava i suoi stupendi fianchi.
Loro due avevano quel raro dono di stabilire subito l’intimità, era sempre stato così, anche al liceo, quando si erano fatti beffe di tutti simulando la più bella storia d’amore del quinquennio. Nessuna gelosia, né screzi, né giornate nervose, tutto “come soltanto la celluloide sa dare”. Infatti, era un film, in cui i due protagonisti erano calati nei rispettivi personaggi, ‘sì tanto da farlo anche senza telecamera, senza sceneggiatura, ne regista, fin quando si erano accorti che non avrebbero più potuto uscirne se non avessero scritto, come ricordava di aver sentito in un brano italiano: “dopo i titoli di coda, e su di una loro immagine di schiena, la parola fine”.</div> 
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Ero convinto che Hive potesse essere un buon porto per la tua passione per la scrittura e sono contento che stai continuando la tua avventura nel mondo di Hive e delle blockchains.
Continua cosi @arbace :)
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